Cosa c’è da sapere e come affrontare la fine della quarantena?
In questo periodo critico, tanti sono i professionisti della salute fisica e psichica che si sono impegnati ad offrire il proprio contributo, chi in prima linea e chi a distanza, per contrastare questa estenuante battaglia.
Quest’oggi il mio contributo è quello di offrire una riflessione emotiva su questo complesso argomento che richiama l’attenzione globale e che ci impegna a ricordare che “siamo tutti sotto lo stesso cielo”.
“COVID-19: un piccolo organismo invisibile che da un giorno all’altro sta cambiando la nostra percezione della realtà, della vita, stravolgendo l’organizzazione delle nostre esistenze”
Partendo da questa riflessione, un primo aspetto da sottolineare e da non sottovalutare è il concetto di cambiamento. Nonostante la letteratura scientifica affermi come i cambiamenti siano necessari nella nostra vita, alimentando le nostre intrinseche capacità di adattamento, il concetto di cambiamento è un costrutto non facile da decifrare, insidioso, spaventante e destabilizzante. I cambiamenti, seppur positivi, sono pur sempre cambiamenti; rappresentano un’inversione di marcia, una modificazione della prospettiva, e quindi una sferzata nella nostra capacità di percepire, tollerare ed elaborare un evento. Davanti questi accadimenti, ognuno di noi è chiamato a rifornirsi di una serie di armamenti, che non sono altro che quegli strumenti acquisiti durante tutta l’esistenza con cui si sono fronteggiate altre situazioni simili. Tuttavia, non dobbiamo pensare a tali strumenti solo in termini materiali ma, provando a scendere più nel profondo, anche e soprattutto in termini risorse emotive, le quali fanno da corollario alla capacità di ognuno di regolare le proprie emozioni e la propria emotività di fronte ad un evento stressogeno.
Ognuno di noi ha una “finestra di tolleranza”, ovvero dei margini entro i quali stati emozionali di diversa intensità possono essere processati senza che si comprometta il funzionamento del sistema. Questo vuol dire che ci sono persone che riescono a funzionare bene anche quando vivono emozioni molto forti e altre invece che vanno in cortocircuito. Lungi dall’operare una distinzione netta tra persone che funzionano bene e persone che non funzionano, gli eventi stressanti hanno il grande potere di attivare chiunque ne venga investito, con esiti diversificati.
Quanto detto rispetto alla capacità di regolare le proprie emozioni, ci conduce alla considerazione che quello che sta accadendo oggi, alla nostra società, globalmente considerata, rappresenta un evento di grossa portata dal punto di vista della nostra salute mentale, che ci impegna in diverso modo e su diversi fronti. La parola chiave è quindi “riorganizzarsi”.
Riorganizzarsi implica sicuramente darsi da fare per rimodulare il nostro stile di vita, le nostre abitudini ben radicate, le nostre esistenze, che se dapprima apparivano ben confezionate e impacchettate secondo i nostri canoni, adesso sono costrette a misurarsi con maggiore tempo libero e quindi con il venir meno di regole e confini. Un tempo che attanaglia, che ci spinge a immaginare un futuro ignoto, che porta a misurarci con l’imprevedibilità e con l’impossibilità di controllo. Se da un lato questo sembra toglierci “potere”; inteso come possibilità di incidere attivamente sulla propria vita, privandoci della libertà personale, dall’altro lato, se ci soffermiamo un attimo a pensare, il rovescio della medaglia è sorprendente. Il termine riorganizzazione implica il concetto di ridefinizione, che offre la possibilità per ciascuno di mettersi in gioco, provando a usare questo tempo in modo “altro”.
Pertanto, l’invito è a ridefinire il proprio tempo; non solo quello cronologico che scandisce le nostre giornate, ma anche un tempo interno, interiore, intimo e personale. Quel tempo che ci costringe a confrontarci con la nostra parte in ombra, con i nostri scheletri e con le nostre fragilità. Fragilità che spesso vengono occultate, distaccate, straziate dal resto della nostra coscienza, ma che fanno parte di noi. Prendere contatto e riappropriarsi della parte più “oscura” , meno riconosciuta e riconoscibile, può offrire la possibilità di operare una definizione di quello che sta accadendo, una definizione che forse si scosta da quella dei notiziari, ma che è portatrice di un valore emotivo e profondo, specchio del proprio sentire. Facendo ciò, è come se operassimo una pacificazione tra due parti di noi che non sono scollate, ma che possono guardarsi in faccia e che piano piano possono prendere accordi per integrarsi. L’invito è a guardare all’isolamento sociale in questa prospettiva, come un maggiore tempo da dedicare a sé, alla cura delle proprie parti interne, alla cura della propria anima, straziata da angoscia, dolore e preoccupazione. In quest’ottica, riappropriarsi di un tempo interno (inteso come Kairòs, ovvero un tempo in divenire in cui si esplica la possibilità di agire), significa anche divenire più autoefficaci, costruttori attivi del proprio tempo e delle proprie scelte, ma anche riscoprire vecchi interessi, riprendere contatto con vecchie conoscenze, riprendere ciò che si era stati costretti a lasciare in sospeso (ad esempio riscoprirsi dei pittori o dei musicisti, cuochi o pasticceri esperti, o semplicemente riscoprirsi protettori e protettrici dei propri focolari domestici). Nutrire, dunque, quelle parti di noi che più di ogni altra cosa in questo momento hanno bisogno di essere “viste” e accolte. Questi sono gli aspetti positivi e potenzialmente protettivi della quarantena che stiamo vivendo, aspetti di cui possiamo diventare portavoci, cercando di “passare il messaggio” ai nostri figli, alle nuove generazioni e a tutti coloro che sono in balia di questa grande nave colpita dalla tempesta.
Tuttavia, cogliere queste sfumature risulta più difficile per chi viene privato di qualsiasi possibilità di riorganizzazione e ridefinizione. Mi riferisco a chi subisce una doppia costrizione, chi subisce l’isolamento e subisce anche una convivenza forzata , alienante e quindi maggiormente distruttiva. E’ il caso delle famiglie e delle coppie altamente conflittuali, costrette a vivere dentro mura domestiche intonacate da violenza e coercizione. In queste famiglie si esasperano i sentimenti di tristezza, mancanza, solitudine che questo periodo porta con sé, con il rischio che l’alienazione, accompagnata spesso da sintomi depressivi e alessitimici, si irrigidisca fino a cronicizzarsi, determinando il destino futuro di quel sistema familiare. Talvolta non mancano gli esiti irreversibili di tali dinamiche conflittuali, come il caso di femminicidi ed omicidi che hanno per movente la gelosia e che riflettono legami di coppia “ingabbianti” e vincolanti.
Questa riflessione si accompagna ad un’altra sui possibili effetti a posteriori della quarantena. C’è chi dice che saranno peggiori di quelli che stiamo vivendo e chi dice che saranno migliori, perchè ci porteranno ad apprezzare maggiormente ciò che abbiamo e quello che avevamo e che forse abbiamo perso. Considerata la continua evoluzione di questa situazione che, se pensate, va a braccetto con l’evoluzione della nostra specie, non è possibile fornire una risposta certa; tuttavia, è importante fare tesoro del momento presente, delle emozioni negative che stiamo sperimentando, della possibilità di ridefinire positivamente questo tempo esistenziale che non è ancora giunto al termine. Tutto ciò forse aprirà degli spazi mentali in cui sarà possibile pensarsi all’interno di un setting terapeutico, all’interno di una relazione di aiuto e cura, in cui la cooperazione e la relazione torneranno a funzionare, sprigionando le loro potenzialità benefiche. Con la possibilità che il modello di relazione terapeutica possa fungere da ponte per le nuove relazioni, per quelle vecchie e per una buona e autentica relazione con sé stessi.
Per concludere riporto un breve stralcio della preghiera di Papa Francesco, recitata in una San Pietro deserta: “Siamo stati presi alla sprovvista da una tempesta inaspettata e furiosa. Ci siamo trovati su una stessa barca fragili e disorientati, ma allo stesso tempo importanti e necessari, chiamati a remare insieme e a confortarci a vicenda. Su questa barca ci siamo tutti. E ci siamo accorti che non possiamo andare avanti ciascuno per conto suo. Ma solo insieme. Nessuno si salva da solo”
Articolo molto interessante : non solo come delucidazione di alcuni concetti base che a volte possono essere un po’ oscuri. ma anche come aiuto a risolvere, in questo tempo, qualche passaggio confuso della nostra vita.
Pubblichi altri pezzi, la rileggero’ volentieri. Grazie
Veramente una riflessione interessante, complimenti!
Articolo molto interessante e profondo… Complimenti dottoressa!
Mi complimento con la Dott.ssa per la Perfetta disamina del problema in atto, esauriente sotto tutti i punti di vista e decisamente Confortante in un momento cosi difficile nel quale è quasi automatico cedere all’abbattimento; ne condivido ogni punto compreso il Saggio e necessario consiglio di approfittare di questo tempo, speriamo ancora non eccessivamente lungo, per riflettere in modo individuale sul senso della vita, ed in particolare sul proprio vissuto, esaminando con più calma la propria coscienza avendo soprattutto al centro delle proprie convinzioni la certezza assoluta che non siamo nati per i pochi decenni da trascorrere su questa terra, ma per vivere l’Eternità con Dio.
Credo rimanga al momento quello del confronto con noi stessi, con la nostra precarietà, con i nostri peccati, l’unico aspetto decisamente positivo non solo in questa triste parentesi del coronavirus ma per la nostra intera permanenza, come direbbe il poeta in quest’atomo opaco del male.